martedì 28 maggio 2013

Il clown che guarì gli angeli




Il bambino che sorride è uno degli spettacoli più belli del mondo.

Nella loro semplicità i bambini manifestano sempre le emozioni che provano, soprattutto se sono intense quanto la gioia.  Le emozioni così belle vengono in tanti casi, per forze di causa maggiori, quali malattie, incidenti, abusi, portati via dal cuore di queste creature, ancora troppo deboli nei confronti del mondo.


I bambini assorbono più di un adulto i vari traumi, e ne portano le ferite per lungo tempo, tanto che, se non giustamente curate, possono trasformarsi in cicatrici indelebili del loro animo.

Uno dei tanti traumi potrebbe essere dato dall'esperienza dell'ospedalizzazione: infatti un bambino ricoverato si ritrova in un ambiente diverso da quello in cui è cresciuto, senza la possibilità di essere libero di giocare (viste le sue condizioni),  di vedere gli amici di sempre, di avere interazioni abituali come quelle con la scuola o con lo sport che pratica nel quotidiano. Anche le cose più semplici possono divenire difficili, senza che loro ne abbiano comprensione. Si associerà l'ospedale all'esperienza data dal dolore, proveniente sia dall'interno, dalla malattia, che dall' esterno, dai tanti esami o terapie purtroppo necessarie.




Esistono molti ospedali che attivano progetti per la salvaguardia della salute psichica del bambino, ponendo sale giochi attrezzate per l'esigenza ludica dei piccoli, costruendo progetti volti al proseguo della loro istruzione, e integrando il tutto con servizi psicologici atti ad alleggerire l'esperienza ospedaliere e a dare sostegno alle famiglie.




In tutto ciò può e deve venire in aiuto un altro sostegno che reputo di importanza fondamentale, un sostegno a cui è fondamentale avere una adeguata preparazione, e che non credo tutti possano fare: la clown therapy.




Questi "dottori del sorriso" possono essere affiancati agli specialisti del settore, per fare in modo di salvaguardare la salute mentale e la vitalità del bambino mentre questo trova conforto a livello fisico dalle cure ricevute, manifestando allo stesso tempo i sentimenti di gioia più adatti alla sua età. I "doctor clown", semplicemente giocando, interagendo, parlando con loro, non solo procurano spensieratezza nel bambino che si trova in degenza, ma riescono a parlare e a farsi rispondere dal cuore di ogni singolo individuo. Il successo è così garantito che questa terapia è stata più volte esportata fra i vari reparti, non solo dedicati alle cure per l'infanzia.



Chi si adopera per fare ciò è di solito una persona che dentro ha ancora l'anima di un bambino, un Peter Pan che non ha mai voluto saperne di crescere, e che trova i suoi "bimbi sperduti" dentro le navi gelide date dalle pareti di un ospedale, in cui vili pirati, sotto forma di malanni fisici e dolorose terapie, provano a sopraffare e spezzare i sogni che non permettono più di volare.  Ed è dentro queste navi gelide che intervengono i notri novelli Peter Pan, pronti attraverso la gioia a ridare, come faceva la polvere di fata, sorrisi e sogni ai bimbi, non più sperduti, ma speranzosi di vivere ancora in un mondo di favole.




E' con il sorriso che si riesce ad affrontare con leggerezza il mondo.

Se uno specialista riesce a curare le ali ad un angelo sono i clown a fare in modo che queste creature possano sollevarsi di nuovo da terra.




mercoledì 22 maggio 2013

Il Grande Gatsby : Recensione!


Non è l'Amore a vincere su tutto, ma la sua Illusione!

Non sapevo cosa aspettarmi dal film, non avevo visto ne trailer, nessuna immagine, sapevo solo chi erano i due interpreti principali, e chi era il regista. Poi il nulla! Il grande Gatsby è uno spettacolo che mi sono goduto, senza sapere cosa aspettarmi, dalla prima all'ultima scena.

Aprendosi in uno scenario che di per se appare drammatico, un ospedale psichiatrico, in realtà molto accogliente , facciamo la conoscenza di Nick Carreway (Tobey Maguire), il cantastorie, colui che andò a New York con la pretesa di diventare un grande della finanza e con il sogno dello scrittore, ormai infranto.


Nick nell'ospedale ha gli occhi spenti, ciò ci induce a capire che non vedremo una storia con un lieto fine. Gli occhi non mentono, è quelli di Nick sono tristi, quasi senza vita, in un morso di disperazione e delusione per ciò che hanno visto.



Il racconto parte dall'arrivo del giovane nel paese delle meraviglie, la New York degli anni 20, in piena enfasi economica, dove tutti sono alla ricerca di un ruolo per definirsi, mentre altri sono già definiti, pomposi, atletici, rampolli di una società dove il benestare e il divertimento non sono mai messi in discussione.

Nick è accolto come  viene accolto un bimbo all'entrata di un grande circo, nell'abbraccio della folla in festa di un luna park. Tutto sembra intonato, tutto sembra cantare per lui.



Nick, però, viene presto portato dietro questo mondo sfavillante, un mondo fatto di corruzione, soprattutto morale, a cui assiste, sia da spettatore che da attore principale, al suo quatidiano decadimento. E' un mondo che non nasconde i suoi sorditi segreti, anzi, quasi li sbatte in faccia con prepotenza: la lussuria, l'arroganza, il marciume, coperto solo all'apparenza. Così accade che lo stesso marito di sua cugina, pomposo rampollo di nobile famiglia e giocatore incallito di polo, tradisca la moglie sotto gli occhi esterefatti del parente, senza traccia di rimorso alcuno.

Nick riesce a vedere tutto ciò, ma non gli interessa più di tanto, è sempre lui quello fuori contesto. Lo è anche New York stessa però, con le sue contraddizioni, dove nel giro di un centinaio di metri si ritrova da ville lussuose a ciminiere a cielo aperto, dove uomini e donne fanno marcire i loro polmoni sotto i fumi tossici del carbone... esseri ridotti a larve sotto gli occhi onnipresenti di un cartellone stile Orwelliano , che osserva quella misera vita quasi con rimprovero e diprezzo.


Nick comprende in poco tempo che New York ha in se un bellezza e una decadenza che non possono fare ammeno l'una dell'altra.

E' in tutto ciò c'è comunque una luce all'orizzonte, un faro diverso, stonato, di luce verde fra i fumi delle discariche e le nebbie della banchiggia. Il suo nome è Gatsby, un personaggio sulla bocca di tutti, ma che nessuno sa chi sia. Un milionario che da feste, sfavillanti, devastanti ed inebrianti, e che ha un passato misterioso, di cui tutti sembrano sapere qualcosa, ma che nessuno sa veramente descrivere.


Quando Gatsby (Leonardo Di Caprio), il signore del castello, e vicino di casa di Nick si presenta, altro non è che un giovane dall'aspetto rassicurante, un sorriso accattivante, che prende sotto la sua ala il giovane vicino, facendolo in poco tempo diventare araldo del suo sogno. Un sogno talmente bello, musicale, varipinto, di cui tutti gli spettatori si innamorano senza porvi resistenza. Tutti vediamo la storia attraverso gli occhi di Nick e tutti ci innamoriamo del sogno di Gatsby, perchè in fondo è quello che l'uomo cerca sempre: trovare l'amore perfetto, malgrado sia la più grande delle illusioni, come gli occhi e le parole finali di Nick ci diranno.


Il regista, Baz Luhrmann, rovescia quello mostrato fatto in Romeo+Giulietta, dove aveva portato il parlato shakespiriano classico in una visione moderna della vita, mettendo stavolta musica e parlate del ventunesimo secolo in un ambientazione di inizi 900. Il mix è talmente ben amalgamato che lo spettatore trova nell'anacronismo un divertimento per gli occhi, orecchie e mente. Il film passa dalle carrellate velocissime di inizio pellicola, in cui gli occhi di Nick sono pieni di gioia, vita, meraviglia, a i rallentatore di fine film, decisi a sottolineare la drammaticità di certe parti, e dove l'animo del nostro cantastorie si fà sempre più velato di tristezza e disperazione.

Maguire e Di Caprio sono l'apice recitativo del film, con tutti i comprimari che interpretano soavemente e magistralmente la loro parte. Tutti esagerati nel loro essere appunto "personaggi", ma fortemente voluti così, con una marcata sottolineatura che ne esalta pregi e difetti, una caricatura che fa comprendere meglio la loro reale umanità corrotta. Gatsby è l'uomo anacronistico per eccellenza, anche lui esagerato, nel suo essere sognatore, romantico, passionale, ma che rappresenta a differenza di tutti gli altri una sorta di chimera irreale quanto tragica.


Un film che mi ha appasionato e commosso, che mette spunto a tante riflessioni e che colpisce allo stomaco e al cuore fino alla fine. E alla fine anche noi ci ritroveremo, come Nick, a gridare:

"Gli altri sono tutti marci Gatsby! Lei vale più di loro messi insieme!

venerdì 3 maggio 2013

Non è tutto Swarovski ciò che luccica!



L'arte, in qualunque sua forma, racconta un qualcosa che spalanca le porte della nostra immaginazione e che solletica la nostra fantasia.

C'è ne sono di due tipi: l'arte da cervello acceso - quell'arte che va interpretata a personam, che ti fa entrare in contatto con il suo autore, che ti porta ad esplorare un nuovo mondo facendolo convergere col proprio punto di vista, col cuore, con la pancia, attraverso il sangue che ribolle, a cui si contrappone quella da cervello spento - che una persona normale cerca nei momenti di maggiore stress, magari per farsi due risate (quasi sempre amare), per cercare lo sfotto di turno, per dar ricreazione solo momentanea al senso della vista, ma che non leggi mai col cuore e che non ti rimarrà impressa.

 
 E' l'arte vissuta più dai genitali che dal resto del corpo, un arte da scarica adrenalinica momentanea, che fa echeggiare a urletti esasperati come teenager in piena tempesta ormonale.

Perchè allora la si chiama arte???

Perchè, dal mio punto di vista, l'arte è lo specchio dell'essere umano, uno specchio che và a guardare essenzialmente dentro l'anima, e che tocca le corde dell'intimo in modo piacevole. E che sia da cervello acceso o spento a volte poco importa, perchè in entrambi i casi tocca ad ognuno corde diverse.



L'arte la si deve guardare sempre dal punto di vista dei tempi in cui è nata. Se ad oggi le figure femminili più predominanti come senso di bellezza sono date da modelle anoressiche, rappresentanti della società dell'apparire, vestite solo da abiti che nulla lasciano all'immaginazione, nei quadri del medioevo la bellezza veniva interpretata da donne formose, piene, panciute, simbolo, in un periodo di fame, della tendenza dell'uomo di sognare il benessere formandosi l'immagine della donna accogliente nella sua morbidezza.



L'animo umano ha cercato sempre e continuerà a farlo la gioia in quello che l'artista ci offre, soprattutto se la sua ispirazione è fornita dell'amore. Un bellissimo esempio è dato dal "Dracula" di Bram Stoker.

Chi non ha mai letto "Dracula" sarà tentato di interpretare tale opera letteraria come il classico tema sul vampiro succhiasangue, senza sapere quello che c'è in realtà dietro:  "un romanticismo che non ha eguali!"

Dracula non è solo un mostro senza anima, Dracula è una creatura dannata per il troppo amore.



La storia parte dalle sue conquiste in terra santa, durante le crociate, a favore di un Dio in cui credeva fermamente, per via di una fede molto radicata. Al ritorno dalla sua ultima guerra Dracula trova la sua amata morta suicida perchè il nemico le aveva fatto ricevere un messaggio ingannevole sulla presunta morte dello sposo. La chiesa non celebra il funerale e non le da l'assoluzione dai peccati, perchè, essendo morta suicida, la donna ha commesso un atto contro il volere divino pregiudicando la sua redenzione verso il paradiso. Il conte, affranto dal dolore per la perdita, con la consapevolezza che non rivedrà più l'adorata moglie, di cui era follemente innamorato, maledice il nome di Dio gridandolo direttamente al cielo. La maledizione viene recepita dall'Altissimo che punisce Dracula strappandogli l'anima, e rendendolo immortale e dannato per l'eternità, trasformandolo nel primo vampiro della storia. Dopo secoli Dracula riconosce in un altra donna la reincrnazione dell'amata, ed escogiterà un piano diabolico per tenerla ancora stretta fra le proprie braccia, compiendo ogni sorta di nefandezza pur di tornare a sentire il respiro della donna che gli strappò via cuore e anima.



Oggi ti ritrovi invece vampiri che si sentono mostri solo perchè brillano al sole come Swarovski, e che si fanno la guerra con lupi mannari ed emo ipoglicemici al fine di vedere chi la tiene più lunga, relegando l'amore ad una sorta di festa degli ormoni adolescenziali in cui vince chi si porta a letto la verginella in calore.

E siccome il prodotto è commerciale al punto giusto, e riesce a far bagnare le mutandine delle teeneger per ogni pettorale mostrato dal belloccio del cineforo (toccando contemporaneamente il nostro cuore e la nostra anima più porcellosa), si sminchiano tutti i mostri sacri del cinema uccidendoli nell'essenza.

Della serie "I libri del Moccia non bastavano più"!



Quindi un vampiro simbolo della dannazione per amore diventa un tamarro immamorato che brilla, lo zombie simbolo dell'appiattimento e dell'omologazione sociale viene descritto come un tamarro innamorato che striscia, l'extraterreste simbolo della paura verso il diverso si trasforrma in un tamarro innamorato ed extrasensoriale, la strega simbolo dell'emarginazione diventa la comara innamorata coi superpoteri.

Ed è inutile lamentarsi, tanto è arte pure questa: l'arte del denaro e del cervello spento!